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Come individuare e contrastare operazioni coordinate di disinformazione in Italia – edizione 2021

Negli ultimi anni, le campagne di informazione1 e la disinformazione hanno continuato a rappresentare un pericolo crescente per la democrazia.

Dal 2016, anno in cui le campagne di influenza hanno iniziato a essere analizzate in maniera sistematica, l’incremento e la progressiva sofisticazione di campagne di disinformazione condotte sia sui social media che sui media tradizionali, e spesso nell’ambito di più complesse

operazioni di informazione, ha destato crescente preoccupazione e interesse sia a livello istituzionale che fra le compagnie di social media e la ricerca universitaria.

Vi è ora una più diffusa consapevolezza che le disinformation operations rappresentino un pericolo per il mantenimento di sistemi di governo democratici, e possano contribuire a corrompere l’integrità
della deliberazione politica. Tuttavia, permane ancora, al momento, una molteplicità di strutture di analisi e di differenze nella definizione del problema e delle sue componenti che rende difficile l’elaborazione di risposte comuni, tanto a livello istituzionale e di pubblica amministrazione, quanto a livello di piattaforme digitali2 o di partnerships pubblico/privato non solo a livello nazionale, ma internazionale.

Questo lavoro di ricerca – portato avanti tramite una collaborazione ad hoc fra la Harvard Kennedy School Misinformation Review, il Luiss Data Lab, il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli, il Master in Giornalismo e Comunicazione multimediale dell’Università Luiss Guido Carli, l’University of Michigan e l’Istituto di Geopolitica Digitale – è partito da questa osservazione per investigare aree di ricerca separate ma in relazione allo scopo di promuovere l’utilizzo tanto di termini quanto di strutture di analisi e di metodologie di ricerca comuni a diversi ambiti di studio per l’analisi di operazioni di informazione (con un focus particolare sulle campagne di disinformazione, che ne sono una componente) e l’elaborazione di contromisure adeguate.

Prima di entrare nel vivo della ricerca etnografica, che si è concentrata su alcune campagne di disinformazione in Italia, e della ricerca giuridica, che ha messo a confronto ordinamenti diversi sul tema in esame, sarà opportuno fare delle necessarie premesse di elaborazione del tema, che illuminano anche la definizione dell’analisi ad ampio raggio e sul lungo periodo.

Seppure questo tipo di operazioni non siano nuove da un punto di vista strategico (basti pensare alle cosiddette “misure attive” portate avanti dall’Unione Sovietica durante il periodo della Guerra Fredda), le innovazioni tecnologiche e le modifiche all’ecosistema dell’informazione degli ultimi anni, hanno aggiunto ulteriori livelli di complessità, portando allo sviluppo di nuove e più sofisticate tattiche e strategie, che rendono queste campagne più rapide ed efficaci e permettono a diversi gruppi di attori, tanto pubblici quanto privati, tanto domestici quanto stranieri, di intervenire in maniera ingannevole nel dibattito democratico.

Data la natura relativamente recente e in continua evoluzione di queste minacce, non vi è ancora una politica univoca di risposta, né a livello nazionale né multilaterale. Per questo si ritiene sia urgente e di particolare rilevanza studiare metodologie e analizzare casi, allo scopo di elaborare un framework utile alla predisposizione di soluzioni adeguate, che assicurino il mantenimento di un elevato standard di qualità del discorso pubblico e dell’informazione in Italia e che possano rivelarsi altresì funzionali a rafforzare meccanismi di coordinamento e cooperazione a livello multilaterale, europeo e internazionale.

Per raggiungere quest’obiettivo, abbiamo redatto sia il presente rapporto, che descrive in dettaglio il lavoro fin qui svolto, la sua impostazione teorica e le raccomandazioni per lo sviluppo della ricerca nei prossimi mesi e anni, che un breve “manuale pratico” riassuntivo che comprende linee guida e indicazioni di policy per prevenire o contenere gli effetti delle operazioni di informazione nel contesto italiano, siano esse portate avanti da attori statuali o privati.

Questa ricerca si è svolta in tre parti: 

- Una prima parte, che segue, si è concentrata sulla definizione teorica dell’ambito di studio delle operazioni di informazione;

- Una seconda parte di ricerca empirica ha analizzato due casi di studio relativi a network di informazione in Italia e uso di tecniche e strategie per la diffusione di informazioni ingannevoli:

◊  Un caso di studio ha riguardato gruppi vicini alla teoria dellacospirazione legata a QAnon;

◊  Un altro caso di studio ha riguardato gruppi legati allecospirazioni anti-vacciniste durante il roll-out vaccinale; 

- Una terza parte si è invece concentrata sullo studio comparato della legislazione relativa alla disinformazione ed alle operazioni di informazione tramite uno studio delle policy esistenti (literature review) e la comparazione delle misure introdotte in diversi ordinamenti. In particolare, Unione Europea, Italia, Francia, Germania, e Stati Uniti.

Dalla ricerca empirica svolta, questo gruppo di ricerca ha riscontrato che:

- I gruppi che organizzano e diffondono campagne di disinformazione in Italia sono estremamente organizzati dal punto di vista tecnico e infrastrutturale. Questi mettono insieme vere e proprie infrastrutture della disinformazione digitale che si poggiano solo in fase iniziale di espansione su pagine e account social, per poi andare a comprendere tutta una serie di siti internet, aggregatori di news, banche dati, canali di (dis)informazione alternativa, blog, forum, etc. Tali infrastrutture sono gestite da figure chiave quali i disinfluencers (vedere definizione in glossario), i quali vengono aiutati da un esercito di follower fedeli e interessati alla causa. La collaborazione e partecipazione attiva dei follower è indispensabile alla diffusione e mantenimento delle infrastrutture di disinformazione nel tempo.

- Da questo primo dato sorge l’importanza del tener conto dell’aspetto temporale quando vengono organizzati interventi contro la disinformazione online come il deplatforming di questi gruppi dai principali social media. Come mostreremo, se il deplatformingnon avviene in modo tempestivo, avrà un effetto limitato nello sradicare tali gruppi e limitare l’efficacia delle campagne. Se il deplatforming viene messo in atto dopo che l’infrastruttura ha passato la fase critica iniziale di espansione e stabilizzazione, i 9 gruppi avranno altresì avuto modo di costruire vie di fuga e canali alternativi sui quali dirottare il traffico e coltivarne di nuove in caso di deplatforming. Si noti il ruolo centrale di Telegram, e delle app di messaggistica in generale, nel costituire un rifugio sicuro per i disinfluencers e le loro audience in caso di deplatforming. Va infine notato che il deplatforming non è mai una soluzione definitiva,ma deve invece essere effettuato in maniera iterativa in quanto i gruppi di disinformazione sviluppano tattiche e strategie precise che consentono loro di adattarsi volta per volta a nuove condizione tecniche;

- Lo studio antropologico dei disinfluencers responsabili per l’attivazione e diffusione di tali infrastrutture ha rivelato che questi appartengono a categorie di professionisti quali avvocati, medici, liberi professionisti, giornalisti e politici. Tale ritrovamento è in netta contrapposizione con la tendenza a caratterizzare i “disinformati” con persone con bassi livelli di educazione o appartenenti a classi meno abbienti. Le campagne di disinformazione sono costruireda “professionisti della disinformazione” e il fenomeno della disinformazione assume quindi le caratteristiche di una pratica professionale più che di un gioco di ruolo, culto religioso o passatempo (come e’ stata caratterizzata in passato). Va inoltre notato come spesso questi disinfluencers derivano dei guadagni monetari dalle loro attività on offline, per esempio vendendo prodotti, tessere associative o richiedendo offerte e donazioni;

- Dal nostro studio emerge inoltre il ruolo centrale dei media tradizionali nel dare voce e amplificare le campagne di disinformazione nate nella rete. Va notato che questo processo non sempre avviene in maniera intenzionale. Per esempio, per quanto riguarda la copertura mediatica sulla pandemia Covid-19 e sui vaccini, si è riscontrata una diffusa impreparazione tra i media italiani nel descrivere i processi scientifici in maniera accurata e veritiera. Particolarmente problematica è stata la sensazionalizzazione invece che la normalizzazione di fattori come l’incertezza e la processualità dei processi scientifici, fattori costitutivi della scienza che non andrebbero presentati come problematici o anomali ma spiegati e normalizzati. Tra le possibili risposte se ne consigliano due in particolare. Da un lato, l’adozione di strategic silence da parte dei media, una tattica di coordinazione giornalistica che prevede la consapevole presa di coscienza del ruolo dei media nell’amplificare le campagne di disinformazione, e la conseguente decisione di non dare visibilità a tali campagne messe in atto dai gruppi della disinformazione. In secondo luogo, si consiglia lo sviluppo di un curriculum giornalistico svolto a educare nuove generazioni di giornalisti su strategie precise per la copertura di notizie di stampo scientifico e, più in generale, sul funzionamento della disinformazione online.

Per una migliore comprensione del fenomeno a lungo termine e per sviluppare adeguate contromisure tecniche e regolamentari, questo gruppo di ricerca consiglia inoltre di promuovere lo scambio e la collaborazione fra l’Università, le Istituzioni pubbliche, e le imprese private tramite lo stanziamento di fondi strutturali per creare e mantenere gruppi di ricerca e discussione a livello nazionale ed internazionale, di natura sia formale che informale.

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Sintesi di Irene Pasquetto, Direttore della Ricerca per la parte di design, media e disinformazione, Harvard Kennedy School/University of Michigan.